La nozione di curatela approda nel campo delle arti performative insieme alla consapevolezza che programmare performance, spettacoli di teatro, danza o musica debba andare oltre la semplice scelta o produzione di spettacoli inscritti in una precisa finestra temporale e in uno spazio deputato. Si definisce con la necessità di mettere le opere in un contesto più ampio, tale da farle interagire fra loro e con il mondo che le informa. Si tratta inoltre di creare le condizioni per un’esperienza collettiva, non soltanto nel tempo della performance, quanto piuttosto di trasformare un programma, un festival, un evento o un luogo, in un campo di comunicazione e condivisione.
Sebbene il concetto di curatela sia più articolato nelle arti visive che non nelle arti performative, la relazione esistente fra i due ambiti è più vicina di quello che solitamente di crede. Non è una coincidenza se Harald Szeemann, sotto molti aspetti il prototipo di curatore contemporaneo, abbia paragonato il proprio lavoro a quello del regista teatrale, come non lo è il fatto che la teorica dell’arte Beatrice von Bismarck metta in luce un’affinità fra i compiti dell’ideatore di una mostra e quelli del drammaturgo.
Tuttavia se prendiamo seriamente l’idea di Szeemann di “mettere in scena” una mostra, siamo portati a fare un passo ulteriore: questa affermazione solleva una questione che non riguarda soltanto il modo in cui la curatela spesso prende a prestito – il più delle volte inconsapevolmente – gli strumenti del teatro, della performance e della coreografia, quanto piuttosto il fatto che potrebbe mettere a frutto queste pratiche se ne venissero integrate consciamente le tecniche e le strategie, concependo la curatela stessa come performativa.
Performare il performativo